Nasce nell’anno 3209 della Seconda Era, a Nùmenor. Figlio di Elendil l’Alto, come il padre e il fratello Anàrion apparteneva alla casata dei Signori di Andùnie, che discendeva da Silmarien, figlia del quarto Re di Nùmenor, Tar-Elendil.  I membri di questa casata erano i maggiori esponenti dei Fedeli, quegli uomini e donne di Nùmenor che non avevano voltato le spalle agli Elfi e i Valar, e ancora usavano le lingue elfiche in segreto, che erano state proibite dagli ultimi Re, i quali si erano messi alla testa dell’opposizione contro i Valar e il loro Bando che proibiva ai Numenoreani di salpare verso Valinor e Tol Eressea.

Durante la fase in cui Sauron avvelena la mente del Re Ar-Pharazon, e i Fedeli vengono crudelmente perseguitati, con torture e sacrifici umani al tempio in “onore” di Morgoth costruito ad Armenelos, Isildur compie un’impresa giovanile che per la prima volta mostrò il suo coraggio e sprezzo del pericolo: come leggiamo nel Silmarillion, infatti, Sauron consigliò al Re di abbattere l’Albero Bianco, Nimloth il Bello, che cresceva nelle sue corti. Il Re, all’inizio, era spaventato perché “credeva che le fortune della sua casa fossero legate all’Albero, com’era stato predetto da Tar-Palantìr”.

Quando la notizia giunse ad Amandil, nonno di Isildur, egli ne ebbe il cuore “straziato, sapendo che Sauron avrebbe finito per averla vinta”. Non c’era speranza, ma Isildur, quando il nonno raccontò loro la storia degli Alberi di Valinor, “nulla disse, ma uscì nottetempo e compì un’impresa per la quale fu poi celebrato.

Coperto da una maschera, egli infatti entrò solo ad Armenelos e nei cortili del Re, ora proibiti ai Fedeli, E giunse al luogo dell’Albero”, che era vigilato notte e giorno da guardie al servizio di Sauron. L’Albero in quei giorni era senza fiori, perché era tardo autunno; “Isildur strisciò tra i guardiani e spiccò dall’Albero un frutto che ne pendeva, volgendosi quindi per andare. Ma le scolte si svegliarono e egli fu assalito e si fece largo combattendo ma ricevendo molte ferite; riuscì a fuggire e, grazie al suo cammuffamento, non si seppe chi fosse stato a mettere le mani sull’Albero”. Isildur tornò a Ròmenna e consegnò il frutto al nonno, ma le sue ferite erano state molte e gravi, e svenne. Il frutto dell’Albero venne piantato in segreto, e Amandil lo consacrò. “Sorse un virgulto che sbocciò in primavera. Ma quando la sua prima foglia si aprì, ecco che Isildur, che a lungo era giaciuto prossimo a morte, si levò e non fu più tormentato dalle sue ferite”.

Quando i progetti folli di Ar-Pharazon presero sempre più piede- l’Albero bruciato, i sacrifici al tempio di Morgoth, le torture e le uccisioni dei Fedeli- Amandil decise di partire per il mare e chiedere l’aiuto e il perdono dei Valar, per quanto fosse disperata questa soluzione; consigliò comunque Elendil e i nipoti di prepararsi a partire e quindi di preparare una flotta sulla quale tutto il popolo dei Fedeli ancora vivi potesse trovar scampo. Elendil, Isildur e Anàrion fecero ciò che Amandil aveva detto. “Le navi erano ancorate davanti alla costa orientale del paese; e i Fedeli vi portarono a bordo mogli e figli, i loro beni e gran quantità di vettovaglie. Molte erano le cose dotate di bellezza e potere, quali le avevano prodotte i Nùmenòreani nei giorni della loro saggezza: vasi e gioielli, e rotoli sapienziali scritti in scarlatto e nero. Ed essi avevano sette Pietre, dono degli Eldar; ma sulla nave di Isildur era conservato il giovane Albero, il rampollo di Nimloth il Bello”. Quando le navi del Re decisero di attaccare Valinor, avvenne l’Akallabeth, la Caduta di Nùmenor, e pur salvandosi, i Fedeli dovettero affrontare sulle loro navi una tempesta terribile, dato che l’ira di llùvatar era piombata sul mondo. “Nove erano le navi: quattro di Elendil, tre di Isildur, due di Anàrion: ed esse fuggirono, di fronte alla nera tempesta, dal crepuscolo della mala sorte nella tenebra del mondo. E le profondità sorsero di sotto ad esse in torreggiante collera, e onde simili a montagne che muovevano con grandi crinali di neve increspata le elevarono su, su tra gli sfilacci di nuvole, e dopo molti giorni le scagliarono sui lidi della Terra di Mezzo”.

Mentre le navi di Elendil vennero gettate a nord, quelle di Isildur e Anàrion furono trascinate a sud, e alla fine “guidarono il corso delle proprie navi su per il Grande Fiume Anduin che, scendendo dal Rhovanion, sfocia nel mare occidentale scendendo nella Baia di Belfalas; ed essi fondarono un insediamento in queste terre, che in seguito fu detto Gondor”. La capitale del regno era Osgiliath, divisa in due dal Grande Fiume.

Due erano gli avamposti del regno, costruiti per minacciare Mordor: Minas Ithil, la Torre della Luna Sorgente, a est, e lì dimorava Isildur, mente Anàrion viveva a ovest, presso Minas Anor, la Torre della Luna Calante, la “futura” Minas Tirith. I due fratelli dividevano il comando “e i loro troni erano uno a fianco dell’altro nel Grande Salone di Osigliath”.

Così i Fedeli trovarono pace; ma Sauron tornò alla Terra di Mezzo e la guerra ricominciò, passando alla storia come la Guerra dell’Ultima Alleanza tra Elfi e Uomini. Sauron attaccò per primo, distrusse Minas Ithil, sventrando l’Albero Bianco. Isildur però riuscì a fuggire portando con sé un seme dell’Albero e assieme alla moglie e i figli, raggiunse Elendil a nord, mentre Anàrion rimaneva assediato ad Osgiliath.

Infine ci fu la grande Battaglia della Piana di Dagorlad tra Sauron e le forze alleate di Uomini ed Elfi, i quali vinsero assediando Sauron a Mordor per ben sette anni. Durante l’assedio morì Anàrion. Poi Sauron uscì, e uccise Elendil e Gil-Galad; ma alla fine, come è noto, Isildur prese lo spezzone della spada del padre, Narsil, e tagliò l’Anello dalla mano di Sauron e se ne impossessò. Allora avrebbe dovuto distruggerlo, gettandolo per sempre nel Monte Fato; ma nonostante Elrond e Cìrdan lo pregassero, lui rifiutò. Come leggiamo nel Signore degli Anelli, decise di tenerlo, in memoria del padre e del fratello. “Non sono stato forse io ad infergere il colpo mortale al Nemico?”, disse.

Eppure, come racconta Gandalf nel Signore degli Anelli, il possesso dell’Anello provocò da subito in lui anche grande sofferenza. Scrisse infatti in una pergamena di suo pugno:

Era caldo al primo momento, caldo come ferro rovente, e la mia mano ne fu scottata a tal punto che dubito di poter mai liberarmi dal dolore. Eppure nel mentre io scrivo esso si sta rinfrescando, e mi è parso di vederlo restringersi, senza tuttavia perdere né forma né bellezza. Di già la scritta incisa su di esso, che sulle prime era chiara al pari di una rossa fiamma, sbiadisce ed è ormai appena leggibile. I caratteri sono quelli elfici di Eregion, poiché non vi sono a Mordor lettere idonee ad un lavoro sì minuzioso, ma la lingua è a me sconosciuta. Suppongo sia della Terra Nera, perché è rozza ed irregolare; quali malvagità essa dica, lo ignoro, tuttavia traccio qui una copia della scritta qualora dovesse sbiadire senza lasciare indizi. Manca all’Anello forse il calore della mano di Sauron, che era nera, eppur bruciava come fuoco, tanto da distruggere Gil-Galad: e forse se si riscaldasse nuovamente l’oro, la scrittura tornerebbe viva. Ma non sarò io a rischiare di danneggiare questo oggetto: di tutte le opere di Sauron l’unica che sia bella. Mi è caro, benché lo stia acquistando con grandi sofferenze.

Con questo atto di orgoglio Isildur permise a Sauron di perdurare ancora a lungo, pur menomato; e in qualche modo segnò anche il proprio destino. Come leggiamo da varie fonti- Il Signore degli Anelli, Racconti Incompiuti, Il Silmarillion- mentre tornava a nord, per assumere il governo del regno del Nord, Arnor, dopo la morte di Elendil, venne attaccato dagli Orchi. Non avevano messo sentinelle, pensando che tutti i nemici fossero stati sconfitti, e per questo Isildur fu l’unico a sopravvivere: morirono anche i suoi figli maggiori, Elendur, Aratan e Ciryon ( Valandil, il quarto, era a Imladris). Isildur sfuggì grazie all’Anello, visto che rendeva invisibili; ma gli Orchi avvertirono la sua presenza con l’olfatto e notando le orme. Isildur giunse al fiume e vi si tuffò, ma, come leggiamo nel Silmarillion, “l’Anello lo tradì e vendicò il suo artefice, giacchè gli scivolò dal dito mentre nuotava e si perdette nelle acque”.

Così iniziò la Terza Era: con la morte dell’ultimo dei grandi di Nùmenor e la perdita dell’Anello per lungo tempo.


Pierluigi Cuccitto
migrantesofmiddleearth.wordpress.com